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Presentazione del romanzo di G. Fasciano dal titolo "La Promessa"

Pubblicato il 16 marzo 2023 • Cultura , TerritorioPiazza Marconi, 3, 86170 Isernia IS, Italia

Presso la SALA RAUCCI - Comune di Isernia (Palazzo San Francesco) - Piazza Marconi n.3 

Gianlivio Fasciano, La promessa. Un pastore, la guerra, un amore, IOD, 2022
di Alessandra Ottieri
La parola “romanzo” campeggia sul frontespizio del volume di Gianlivio Fasciano, edito da IOD
Edizioni (2022), dopo un titolo allusivo - La promessa - e un sottotitolo referenziale che già
preannuncia al lettore quale tipologia di personaggio incontrerà - un pastore - e quali vicende
- la guerra, un amore - metteranno a dura prova il protagonista nel suo percorso esistenziale.
Ma, prima di ogni altra cosa, è bene soffermarsi proprio su quella parola “romanzo”, dal
momento che - a partire dagli anni della post-modernità - è divenuto sempre più difficile
intendersi su quali prodotti letterari debbano e possano effettivamente rientrare in questo

genere di antica tradizione, sottoposto sempre più frequentemente ad operazioni di de-
strutturazione e de-formazione. In altre parole, il genere romanzo è stato messo a dura prova,

negli ultimi decenni, trasformandosi progressivamente in una sorta di officina dove condurre
esperimenti di tipo “combinatorio” - in cui i personaggi divengono pedine che si muovono
all’interno di trame labirintiche - oppure è diventato un pretesto elegante per condurre
“esercizi di stile” (per citare Queneau) privi di consistenza e talvolta noiosi. Per non parlare
dei più recenti tentativi di narrativa digitale (dal romanzo google, agli esperimenti di
“scrittura collettiva” o di micronarrativa) che solo in alcuni casi meritano attenzione.
Solo pochi temerari scrittori, oggi, scelgono di cimentarsi nel genere narrativo per eccellenza,
aggirando i vari sperimentalismi in circolazione e agganciandosi, invece, direttamente alla
tradizione del grande romanzo ottocentesco. Ovviamente chi sceglie questa strada - come ha
fatto Fasciano - sa bene di poter scivolare nell’antiquariato, di risultare fuori moda e fuori
tempo massimo, perché, come già scriveva Pirandello nel Fu mattia Pascal (1904): “Non mi
par più tempo, questo, di scriver libri, neppure per ischerzo”; in altri termini, se la realtà è
contraddizione, paradosso, caos informe, sarebbe compito del romanziere registrare questo
caos e se non c’è un senso stabile e definito nella realtà, neppure può esserci nella scrittura.
Il ragionamento pirandelliano è certo ineccepibile e la forma-romanzo, a partire dal primo

Novecento, inevitabilmente ha dovuto adeguarsi ai grandi mutamenti ideologici e socio-
culturali della contemporaneità, ma è pur vero che ancora esistono narratori che si “ostinano”

a scrivere, semplicemente perché hanno qualcosa da dire; spesso si tratta di “dilettanti”
lontani dal furor avanguardistico degli intellettuali di professione, che hanno scelto la
scrittura come “secondo mestiere” – è il caso di Fasciano - solo perché sentono l’urgenza di
raccontare una storia e lo fanno nel modo più semplice e diretto possibile, colpendo dritto al
cuore dei lettori. Che la storia sia inventata, personale, di famiglia, non ha importanza, ciò che
conta - per questa particolare categoria di scrittori in apparenza démodé - è narrare la vicenda
di un personaggio, seguirlo nella sua crescita, accompagnarlo nel suo percorso esistenziale
fatto di promesse, di incontri, di cambiamenti, di traumi e di atti liberatori, fino a mostrarne la
piena maturazione e consapevolezza di sé.
Questa lunga premessa si è resa necessaria perché il “romanzo” di Gianlivio Fasciano suscita
riflessioni e interrogativi che vanno ben oltre la storia raccontata. Si tratta di un libro che
potrebbe far storcere il naso al lettore critico, al “tecnico” abituato a smontare le strutture e le
forme e a lavorare su meccanismi sofisticati, eppure La promessa – opera narrativa insieme
“antica” e modernissima – ti cattura e ti avvince proprio in virtù del suo meccanismo semplice

e funzionale alla trama. È un romanzo di formazione in senso classico in cui un io narrante - il
pastore molisano Romolo Di Meo, semi-analfabeta ma depositario di una millenaria cultura
contadina, ormai quasi del tutto scomparsa in Italia - racconta la sua storia personale che
inevitabilmente si intreccia con quella nazionale: dagli anni del fascismo a quelli della Grande
guerra, dallo sbandamento dei soldati dopo l’8 settembre alla liberazione da parte degli
alleati. Su questo complesso sfondo storico, ancora oggi pieno di ombre, si snoda il racconto di
Romolo Di Meo che semplicemente voleva essere un pastore: l’infanzia, dura ma felice,
trascorsa sulle montagne, tra mucche e capre dispettose, la scoperta casuale del sesso, l’amore
(e poi il matrimonio) con Giovanna, più intelligente e più colta di Romolo, ma innamorata
della sua silenziosa “pacienza”, l’amore incondizionato per Tata (il padre) e quello disperato
per Tatella, la madre, chiusa in un dolore che lei solo conosce e che custodirà nel cuore fino
allo scioglimento finale.
Molti elementi presenti nel romanzo potrebbero far pensare ad una riproposizione, da parte
dell’autore, di temi e moduli narrativi tardo-ottocenteschi di tipo “verista”, semplicemente
trasferiti su un altro piano temporale: dall’Italia meridionale post-unitaria (quella dei romanzi
e delle novelle di Verga) a quella fascista degli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso: mi
riferisco alla rappresentazione del mondo rurale, chiuso ed arretrato, fatto di contadini e
pastori, al tema della leva militare obbligatoria, che strappava i giovani dalle terre e dalle
montagne per catapultarli in città dalle abitudini aliene, al motivo darwiniano della lotta per
la sopravvivenza nella quale i più deboli rischiano di soccombere, tra sensi di colpa e scelte
sbagliate. Tuttavia le cose stanno diversamente, innanzitutto Fasciano non adotta il criterio
dell’“impersonalità” di stampo verista, non veste i panni di un narratore esterno, imparziale,
che con freddezza da “scienziato” racconta con oggettività ciò che accade, creando un
“documento umano”; qui i fatti sono riportati in prima persona da un io narrante che, fin dalle
prime pagine, si racconta a cuore aperto, senza filtri o infingimenti, e si rivolge in modo
confidenziale, intimo, al lettore, attirandolo nel suo mondo, sulle colline molisane,
facendogliene cogliere l’asprezza, la fatica ma anche l’infinita magia. La guerra interviene a
spezzare l’incantesimo, il protagonista sarà costretto ad affrontare mille peripezie prima di
poter completare la sua “formazione” e proseguire nella vita adulta non da “vinto”, ma con
nuove certezze e un nuovo equilibrio. La trama è senz’altro intrigante e ben costruita, ma ciò
che davvero conferisce solidità al romanzo e contribuisce a definire perfettamente i contorni
del protagonista Romolo è senz’altro il linguaggio: una gustosa koinè dialettale (questa sì di
matrice verghiana) in cui italiano standard e dialetto regionale si fondono, arricchendosi di
parole arcaiche, modi di dire, espressioni proverbiali.
Insomma, chi ancora intenda il genere romanzo come atto conoscitivo - confronto con la
realtà, passata e presente, e con le sue contraddizioni più o meno latenti - ma soprattutto chi
ancora spera di trovare nelle storie raccontate nei libri la propria storia può provare a
cercarla ne La promessa di Gianlivio Fasciano.