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Il culto di Santa Barbara a Isernia

Ultima modifica 25 marzo 2022

di Mauro Gioielli
www.maurogioielli.net

Articolo pubblicato sul settimanale «EXTRA», anno XV, n. 18, 31 maggio 2008, pp. 16-17.

Nei secoli, il Molise è stato ripetutamente colpito da movimenti tellurici, anche molto drammatici. A volte tali calamità naturali hanno fatto nascere nuove forme di religiosità, altre volte hanno influenzato preesistenti espressioni di fede popolare [1], come nel caso della festa che Isernia riserva a Santa Barbara il 6 giugno.

Santa Barbara
Le notizie sulla vita di Santa Barbara V. M. sono incerte e frammentarie. Visse presumibilmente nel III-IV secolo e fu martirizzata sotto Massimino o Massimiano (o, forse, Massimino Daja) [2]. Anche sul luogo dove ebbe i natali, le fonti sono discordi. Nicomedia di Bitinia (Turchia), però, appare la città più accreditata.
La totale assenza di inequivocabili notizie storiche su Santa Barbara ha fatto nascere intorno alla sua figura varie leggende, che hanno condizionato sia la devozione che l’iconografia della martire.
Secondo la tradizione, Barbara, figlia di un ricco pagano, s’era segretamente convertita al cristianesimo. Quando il padre stabilì di darla in sposa a un soldato senza fede, la fanciulla, che aveva fatto voto di castità, si rifiutò. Il genitore, convinto che una severa punizione le avrebbe fatto cambiare idea, la rinchiuse in una tetra torre, priva di porte e illuminata solo da tre finestrelle. La tenne prigioniera in completo isolamento, senza cibo e con poca acqua; ma, per intervento divino, ogni notte da una delle finestrelle entrava una bianca colomba (lo spirito santo) che le portava un tozzo di pane.
Per vincere le resistenze di Barbara, il padre la fece anche torturare più volte. Uno dei supplizi fu quello di denudarla e avvolgerla in panni tanto ruvidi e pungenti da farla sanguinare. Miracolosamente, quando tolsero i panni, la giovane era intatta e più bella che mai.
Il padre, allora, decise di ucciderla e la decapitò egli stesso. Subito dopo, però, il crudele genitore subì un mortale castigo: un fulmine, scoccato a ciel sereno, l’incenerì [3].

Il culto isernino
Il calendario riserva a Santa Barbara la data del 4 dicembre, ma gli isernini la festeggiano soprattutto il 6 giugno. In genere, a lei si ricorre per scongiurare le intemperie (patronato antitempestatario), quando vi sono violenti temporali e i fulmini squarciano il cielo [4]. A Isernia, però, è invocata parimenti contro il pericolo dei terremoti [5]. Ancora oggi, quando si avvertono movimenti sismici [6], anche lievi, c’è qualcuno che si reca in chiesa a pregare rivolgendosi alla martire di Nicomedia. Più volte in passato, in occasione di scosse che hanno provocato panico nella popolazione, la sua statua è stata condotta in processione.
A giugno, nei giorni che precedono la festa (dal 28 maggio al 5 giugno) si effettua la novena. La mattina del 6 – nella chiesa di San Francesco, in cui è custodita la statua di Santa Barbara – si officiano solitamente tre messe. Nelle ore pomeridiane se ne celebra un’altra, dopo la quale una processione percorre le vie della città [7].
Durante l’anno, la statua è conservata in una grande teca vetrata, collocata a lato dell’altare maggiore. All’inizio del novenario, l’immagine viene spostata nella zona anteriore dello stesso altare, dove, per meglio accoglierla ed esporla, si realizza un’apposita nicchia.
Il simulacro è di buona fattura. La fanciulla indossa un mantello rosso, una tunica verde a disegni giallo-oro e una veste chiara con fiorellini azzurri. La mano sinistra regge la palma del martirio, il seno destro è lacerato da un pugnale di foggia orientale, il capo è cinto da una corona. In basso, da una parte è posta una piccola torre che ricorda la prigionia della santa; dall’altra sono collocati dei modellini di edifici, alcuni dei quali inclinati per rappresentare gli effetti d’un movimento tellurico.

Il patronato antisismico
A Isernia, con ogni probabilità il patronato antisismico di Santa Barbara ha avuto origine nel dicembre 1456. In seguito, forse per l’iniziale influsso del terremoto del 1688 e certamente per il decisivo effetto di quello del 1882, s’è cominciato a festeggiare la santa il 6 giugno d’ogni anno [8].
Nel 1456, «in nocte S. Barbarae» – come fu documentato in un’antica pergamena – «ingentissimus et potentissimus Terremotus» colpì il Regno di Napoli. Le vittime furono «quadraginta milia», di cui circa «octingenti homines» a Isernia [9].
Mario Baratta [10] menziona più fonti riguardanti tale sisma: «L’Ambasciatore Senese scriveva in data 7 dicembre: “a dì 4 de questo [mese], sonate le XI hore venne uno terremoto...”. Ercole Marchese di Ferrara anche egli dava partecipazione dell’avvenimento con una lettera in cui dice “sabato quarto giorno dello stesso mese sino alla domenica verso le dodici ore avvenne un terremoto...” (...). Ed infine un ms. sincrono della Università di Pavia pubblicato dal Romano [11] (...) riferisce che “Mcccclvi a dy quatro de dexembre tra le X e XI hora e durò per un decimo d’ora fu in lo Reame un terremoto...”. Adunque, concludendo, la scossa disastrosa avvenne nella notte del 4-5 dicembre tra le ore 10 e 11 (...)».
Per quanto concerne la festa di giugno, va detto che il sesto mese dell’anno è quello in cui, nei secoli, sono accaduti più movimenti tellurici subiti da Isernia. Nel giugno 847, la città «fu quasi interamente distrutta con grande numero di vittime» [12]. Il 5 giugno 1688 un terremoto interessò numerose località del Molise [13] e della Campania, e fu avvertito anche in altre regioni. Le scosse si ripeterono intense nei giorni immediatamente successivi. Circa due mesi durarono quelle di assestamento. Il 6 giugno 1882 [14], «a 6h 40m ant., in Isernia fortissima scossa ond.-suss. ne-sw di 5-6s: a 6h 50m a. altra meno lunga ed intensa e quindi una terza» [15].

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Note

[1] La devozione per Sant’Anna, ad esempio, in più paesi molisani si è rafforzata e modificata dopo il terribile sisma del 26 luglio 1805 (M. Gioielli, Il Trionfo delle Messi. La festa di Sant’Anna a Pescolanciano, in M. Gioielli, a cura di, Il Trionfo delle Messi. Storia e tradizioni di Pescolanciano, con allegato Dvd, Campobasso 2005, pp. 19-74; M. Gioielli, La festa di Sant’Anna ed altri aspetti della cultura etnica jelsese, in G. Palmieri e A. Santoriello, a cura di, Jelsi. Storia e tradizioni di una comunità, Ferrazzano 2005, pp. 193-216). Un culto che nel Molise, come altrove, mostra rapporti con i terremoti è certamente quello di Sant’Emidio (M. Gioielli, Il culto di Sant’Emidio nel Molise, “Extra”, XIV, n. 21, 9 giugno 2007, pp. 16-17), ma le calamità hanno fatto sorgere anche delle forme di religiosità ‘locale’, come ad esempio quella che Lucito nutre per il suo patrono San Nicola (G. Piedimonte, Notizie civili e religiose di Lucito, Campobasso 1899, pp. 139-142; M. Gioielli, Santi e terremoti, “Extra”, XIV, n. 14, 21 aprile 2007, pp. 16-17).

[2] A. Cattabiani, Santi d’Italia. Vite leggende iconografia feste patronati culti, 2 voll., nuova edizione riveduta e aggiornata, Milano 1999, vol. I, p. 125; A. Grano, Santa Barbara. Il mito, la leggenda, la storia, la passione, la morte, Napoli 2000, p. 30.

[3] In un articolo di qualche anno fa, in merito al rapporto fra Barbara e il padre, scrissi: «In questa vicenda leggendaria può cogliersi la simbologia dei contrasti tra generazioni, accentuati da una visione maschilista del rapporto familiare, laddove il discendente di sesso femminile deve ancor più sottostare al volere del padre-padrone» (cfr. M. Gioielli, La Signora dei fulmini, “Extra”, VI, n. 44, 4 dicembre 1999, p. 15).

[4] M. Gioielli, Barbara, la santa che protegge dai terremoti, “Nuovo Molise”, III, n. 133, 6 giugno 1998, rubrica ‘Il sabato del villaggio’.

[5] I patronati fondamentali di Santa Barbara sono identici ad alcuni di quelli attribuiti a San Vincenzo Ferrer, che viene invocato pure «contro i fulmini e i terremoti» (cfr. A. Malossini, Dizionario dei Santi Patroni, Milano 1995, p. 293).

[6] Il patronato antisismico di Santa Barbara è presente anche a Longano, dove, secondo padre Lauriola, dopo il terremoto del gennaio 1915, con epicentro nella Marsica, una cappella fu intitolata alla santa di Nicomedia (A. Lauriola, Longano. Un paese da amare, Isernia 1999, p. 45).

[7] M. Gioielli, Isernia fra passato e presente, Campobasso 2006, foto a p. 62.

[8] Vincenzo d’Apollonio sostiene che dopo il terremoto del 1882, «per voto, ad Isernia il 6 giugno si celebra la festa di Santa Barbara» (cfr. V. d’Apollonio e P. Damiani, Cronotassi dei terremoti in Isernia e nel resto del Molise (346-1986), Isernia 1991, p. 41). Le fonti orali, genericamente, narrano di un terremoto avvenuto nel giugno d’un «imprecisato anno». Il 1° e il 2 giugno del 1997, durante il novenario dedicato a Santa Barbara, mi recai nella chiesa di San Francesco, dove intervistai più fedeli, tra cui un’anziana donna la quale mi riferì che, a Isernia, detta santa si festeggia il 6 giugno «P’cché tant’ann’ fa, a giugn’, succ’rett’ ru terramot’ e allora faciett’n’ ascì a Santa Barbara» (cfr. M. Gioielli, Santa Barbara, i fulmini e i terremoti, “Extra”, IV, n. 21, 7 giugno 1997, p. 15).

[9] Il testo latino della pergamena fu trascritto da G.V. Ciarlanti, Memorie historiche del Sannio, Isernia [ma Napoli] 1644, p. 440. Altre fonti, fra cui il menzionato Ciarlanti (op. cit., p. 441), asseriscono che i morti furono milleduecento.

[10] M. Baratta, I terremoti d’Italia. Saggio di storia, geografia e bibliografia sismica italiana, Torino 1901, pp. 67-68. Alcuni documenti datano il terremoto del 1456 al 4 dicembre o nella notte fra il 4 e 5 dicembre; gli annali sismici, però, lo collocano al 5 dicembre.

[11] G. Romano, Il terremoto del 1456. Nota di un codice manoscritto di Pavia, estratto dall’Archivio Storico per le Province Napoletane, Pavia 1890.

[12] M. Baratta, op. cit., p. 15.

[13] A. Perrella, Effemeride della Provincia di Molise (già antico Sannio), vol. I, Isernia 1890, p. 359.

[14] Oltre quello del 6 giugno, un altro terremoto colpì Isernia nel 1882, precisamente il 3 dicembre, vigilia della ricorrenza di Santa Barbara (A. Perrella, op. cit., vol. II, Isernia 1891, p. 284).

[15] M. Baratta, op. cit., p. 490.