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Il Signore dei Serpenti

Ultima modifica 28 marzo 2022

 La festa di San Domenico abate a Castelpizzuto

Mauro Gioielli - www.maurogioielli.net

Articolo pubblicato sul settimanale «EXTRA», anno XVI, n. 22, sabato 6 giugno 2009, pp. 17-18

San Domenico abate, monaco benedettino vissuto a cavallo dell’anno Mille [1], è venerato in vasta area dell’Italia centrale, particolarmente in Abruzzo, Umbria, Lazio e Molise [2]. L’intervento di questo santo taumaturgo è invocato soprattutto contro l’idrofobia, l’odontalgia e il morso dei rettili. In misura minore contro le grandini e le tempeste,  i parassiti e le punture di insetti.

Nel Molise si contano più paesi dov’è vivo il culto per San Domenico abate [3]. Ne ricordo alcuni: Castelpizzuto [4], la cui festa è descritta in questo articolo; Carovilli, che gli dedica una fiera il 1º settembre, presso la piccola cappella rurale intitolata al santo, situata ai margini d’un tratturello [5]; Fornelli, da cui, ogni anno, una compagnia di pellegrini si reca a Villalago (L’Aquila) per il rito del Bacio delle Croci [6]; Pescolanciano, che ricorda San Domenico il 22 settembre con una processione; San Pietro Avellana, luogo in cui il nostro abate benedettino fondò un monastero; Salcito, che gli riserva una festa a settembre e che alla fine dell’Ottocento era detto paese de’ ciaralli [7], cioè dei serpari.


Santi e serpenti
La tradizione popolare identifica nella serpe una figura negativa, un animale pericoloso perché velenoso e capace di fare cose repellenti, come succhiare il latte dalle mammelle delle donne e degli animali oppure introdursi nella cavità orale delle persone dormienti.

Quali antagonisti del serpente vengono invocati soprattutto tre santi: oltre il menzionato San Domenico abate, si ricorre a San Paolo Apostolo e a Sant’Ilario di Poitiers. San Paolo è chiamato in causa poiché, morso da una vipera mentre era nell’isola di Malta, restò immune dal veleno dell’animale. Sant’Ilario è spesso invocato contro i rettili, in ricordo d’un miracolo con cui liberò l’isola di Gallinara infestata da serpi.

La festa di Castelpizzuto
L’ultima domenica di maggio, Castelpizzuto festeggia San Domenico abate. Quella pizzutese si configura come una diretta filiazione della festa di Cocullo [8], nota per i culti ofidici e per la presenza dei serpari.

Pure a Castelpizzuto la statua del santo veniva ricoperta di serpenti catturati nei campi intorno al paese. È stato così fino alla prima metà degli anni Venti, quando – secondo la locale tradizione orale – avvenne un episodio che fece cessare tale usanza. Un uomo fu morso al braccio da un grosso rettile che restò a lungo attaccato all’arto del malcapitato. Una donna incinta, alla visione di quel morso, per lo spavento perse il piccolo che portava in grembo.

L’origine della festa pizzutese si fa risalire al 1888. Possiedo copia di un dattiloscritto redatto nel 1988 per celebrare il centenario dell’arrivo della statua di San Domenico in Castelpizzuto. Il documento è firmato da Geremia Caranci, «vecchio sacrestano» del paese, e contiene delle notizie che a costui furono «raccontate, quando era bambino, da suo nonno Sebastiano». Il documento spiega come il culto per il santo benedettino sia stato introdotto in quella comunità dall’arciprete Bonaventura Caranci, morso da un cane «arrabbiato» e guarito per intervento miracoloso di San Domenico «che salva dalla rabbia e dal veleno».

La festa s’apre di buon mattino con l’arrivo dei pellegrini. Oggi sono pochi e vengono solo dai paesi vicini, ma un tempo erano tanti e arrivavano da un vasto circondario matesino e isernino. Nella chiesa di Sant’Agata si preparano tre statue: San Domenico, la Madonna Immacolata e Sant’Antonio di Padova, che dopo la messa sono condotte in processione per i vicoli. La banda apre il corteo suonando brani religiosi. I fedeli e un coro di giovani cantano inni sacri. Al termine le tre statue vengono ricondotte in chiesa.

Un’importante tradizione pizzutese, tenuta in vita fino a circa cinque lustri or sono, era quella che consisteva nel mettere in scena la cosiddetta Opera di San Domenico. La drammatizzazione veniva realizzata, la vigilia della festa, da attori dilettanti del luogo e raccontava la vita e i miracoli del santo.

Il ferro della mula

Appeso al simulacro di San Domenico che si venera a Castelpizzuto c’è un piccolo ferro di cavallo con cui i fedeli si fanno il segno della croce e si toccano parti del corpo a fine protettivo [9]. Tale oggetto simboleggia il ferro della mula del santo, ricordato in un episodio agiografico che qui si narra:

San Domenico era povero e viveva di carità, girando il mondo a cavallo d’una mula di nome Giulia. Un giorno, l’animale perse il ferro d’uno zoccolo, così il santo dovette fermarsi da un maniscalco. Costui riferrò la mula e poi chiese d’essere pagato. Il santo gli rispose che non aveva denari ma che avrebbe pregato per lui. «Non m’accontento delle tue preghiere – replicò il maniscalco –. Se non paghi dovrai rendermi il ferro». Allora il santo, irritato, ordinò a Giulia di restituirlo e la mula, scalciando con violenza, fece staccare il ferro che andò a colpire il maniscalco nel bel mezzo della fronte, uccidendolo.


Note

[1] Secondo i biografi, San Domenico sarebbe nato nel 951 a Colfornano di Foligno e sarebbe morto a Sora il 22 gennaio del 1031.

[2] G. Profeta, Un culto pastorale sull’Appennino contro i morsi di lupi, serpenti e cani rabbiosi. Inchiesta sul culto popolare di S. Domenico di Cocullo, Pescara 1988.

[3] M. Gioielli, Santi e serpenti, “Nuovo Molise”, III, n. 109, 9 maggio 1998.

[4] Fin da piccolo ho conosciuto la festa pizzutese (infatti, mio nonno materno, Antonio Succi, era originario di Castelpizzuto), ma ho iniziato ad interessarmene seriamente nel 1996, allorquando, dal 30 aprile al 26 maggio (quest’ultimo giorno coincise con quello della festa), ho condotto una lunga ricerca etnografica sul culto di San Domenico, intervistando numerose persone del luogo.

Diversi gli articoli giornalistici che ho successivamente scritto: M. Gioielli, Contro i serpenti c’è San Domenico, “Extra”, III, n. 23, 8 giugno 1996; M. Gioielli, Il culto di San Domenico abate a Castelpizzuto, “Extra”, IV, n. 19, 24 maggio 1997; M. Gioielli, Castelpizzuto oggi in festa in onore di San Domenico, “Nuovo Molise”, II, n. 123, 25 maggio 1997; M. Gioielli, San Domenico di Castelpizzuto, “Extra”, V, n. 21, 30 maggio 1998. Notizie della festa pizzutese sono anche in un volume da me curato: M. Gioielli, Madonne, Santi e Pastori. Culti e feste lungo i tratturi del Molise, Campobasso 2000, pp. 36-42.

[5] M. Gioielli, La Tresca e la Fiera di San Domenico a Carovilli, “Extra”, IV, n. 30, 30 agosto 1997.

[6] R. Grossi, La Compagnia di Fornelli in pellegrinaggio a Villalago per la festa di San Domenico Abate, Villalago-Ripalimosani 2003.

[7] V. De Lisio, Il ciarallo e le serpi, «Rivista delle tradizioni popolari italiane», II, fasc. 3, 1° febbraio 1895, pp. 224-227.

[8] La più famosa delle feste dedicate a San Domenico abate è quella che si svolge a Cocullo, in Abruzzo, il primo giovedì di maggio. Molti i pellegrini molisani che vi partecipano, e io stesso sono andato più volte. I rettili usati per i riti ofidici che si svolgono a Cocullo non sono velenosi, e spesso sono privati dei denti per evitare morsicature. Vengono catturati nelle settimane precedenti la festa e sono tenuti in scatole o recipienti di vetro e nutriti con crusca. I serpari (anche detti, nei vari dialetti regionali, ciarmatori, ciarauli, ciaralli, ecc.) catturano, maneggiano e “incantano” gli ofidi, gestendo un potere che deriverebbe loro per vis natalis, ossia essere venuti al mondo in date particolari, ritenute magiche, oppure essere nati settimi dopo sei fratelli maschi o, ancora, essere discendenti di stirpe marsicana.

Le serpi, ovviamente, sono le vere protagoniste della festa. Se ne vedono un po’ dappertutto, soprattutto in mano ai serpari, e ricoprono pure la statua di San Domenico quando viene condotta in processione. Il clero non tenta di nascondere l’ofidolatria palese o latente che ancora caratterizza la cerimonia.

Tra le persone che si recano a Cocullo, vi sono semplici turisti che sono mossi da curiosità e vivono una situazione psico-culturale che li blocca (repulsione verso gli ofidi), ma una volta coinvolti nell’esperienza collettiva del rito cocullese superano l’innato timore e quasi sempre riescono ad afferrare o almeno toccare i serpenti, facendosi anche fotografare con i rettili in mano. S’attua così una sorta d’iniziazione spontanea, benché questi neofiti serpari tornino ad avere le vecchie “paure” già dal giorno successivo.

Sulla festa di Cocullo, fra le tante pubblicazioni, si vedano: A.M. Di Nola, Gli aspetti magico-religiosi di una cultura subalterna italiana, Torino 1979; N. Cocchio, I serpari a Cocullo, Cocullo-Roma 1992; G. Profeta, Un culto pastorale sull’Appennino..., cit.

[9] A Castelpizzuto, a scopo apotropaico, si usano dei laccetti di lana colorata che, fino a qualche tempo fa, erano benedetti e distribuiti dietro libera offerta in denaro; da qualche anno, invece, vengono venduti da anziane popolane (quest’anno ogni laccetto costava 50 centesimi).