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La Fiera delle Cipolle

Ultima modifica 25 marzo 2022

dal volume «La Fiera delle Cipolle. Un’antica tradizione isernina», a cura di Mauro Gioielli, Palladino editore, Campobasso 2005, pp. 11-15, 23-24

 

Fin da epoche remote ad Isernia si sono svolte fiere importanti. Tra le più antiche c’è quella dei santi Nicandro e Marciano, di cui si trova menzione in una pergamena contenente alcuni privilegi concessi, il 19 ottobre 1254, alla città di Isernia da Ruggero conte di Celano e di Molise. Fra i privilegi figura l’esenzione dalle tasse per chi partecipava alla fiera [1]. Essa si spense nei secoli successivi; venne quindi ripristinata con decreto reale del 27 luglio 1825, per poi estinguersi nuovamente [2].

Una fiera importante è quella che ha luogo il 26 e 27 settembre, in occasione della festa dei santi Cosma e Damiano [3], già conosciuta nel XV secolo ma divenuta internazionalmente nota sul declinare del Settecento a causa dei culti priapici che, secondo William Hamilton, trovavano luogo presso la chiesa isernina dedicata ai Santi Medici. La fiera dei santi Cosma e Damiano era inclusa nella classe “delle perdonanze”.

Un appuntamento mercantile che non si tiene più, ma che un tempo ha goduto d’un discreto prestigio, è stata la fiera di sant’Ippolito (12 e 13 agosto). Ha tuttora regolare svolgimento quella, di modesta entità, correlata alla festa di san Pietro Celestino (19 maggio).

La fiera di san Pietro
La fiera più caratteristica di Isernia è certamente quella legata alla ricorrenza dei santi Pietro e Paolo, ossia la fiera ‘delle cipolle’, così detta poiché l’allium cepa L. – assieme all’aglio (allium sativum L.) – ne è stata, per secoli, la protagonista assoluta; e, sebbene in misura minore, lo è ancora.

Luigi Vittorio Bertarelli, nel 1926, scriveva: «Il 28 e 29 giu. di ogni anno [a Isernia] si tiene (nel piazzale Erennio Ponzio) una importante e caratter. fiera detta di S. Pietro dalle cipolle, perché vi si fa mercato di grandi quantità di bulbi di cipolle, che vengono presentati agli acquirenti in mucchi costruiti con grande pazienza. Vi accorrono ad offrire la loro merce tutti gli agricoltori di Isernia, di Venafro e di altri luoghi vicini. Nella zona isernina vengono adibiti a tale coltura c. 50 ettari e la produz. totale è di 3500-4000 Q. La varietà più coltivata è chiamata rossa o di S. Pietro: sono cipolle a forma tonda, schiacciata, di colore rosso rame o rosso vinoso e di notevole grandezza (100 cipolle pesano in media 25 kg.); vi è anche una sottovarietà, detta majorina, che è più precoce della precedente. Nel mercato di Isernia compaiono anche la cipolla bianca, grossiss. e piatta, e l’aglio» [4].

Origini
La festa isernina intitolata all’apostolo Pietro è di remota istituzione. È segnalata nella menzionata pergamena duecentesca del Conte Ruggero e in uno dei settantacinque Capitoli della Bagliva [5] promulgati nel 1487.

Il Capitolo quarantesimo, intitolato Delli giorni franchi della fiera, menziona «la festa e la fiera di S. Pietro Apostolo». Sappiamo, pertanto, che tale fiera, almeno dal XV secolo, aveva svolgimento annuale ad Isernia; ma non è certo se la medesima già allora fosse caratterizzata dalla presenza distintiva delle cipolle. Tali ortaggi, però, sono citati in nuovi Capitoli, non numerati, aggiunti successivamente (nel periodo che va dal 18 gennaio 1539 al 16 ottobre 1620). Difatti, tra le regole dell’esitura codificate in detti ulteriori Capitoli si legge che era dovuto un pagamento di 3 grana «per ogni salma di cipolle» e che, per non danneggiare i produttori locali, era possibile proibire ai commerciati di fuori città la vendita di più generi alimentari, tra cui Agli e Cepolle.

Una leggenda
Qual è il collegamento fra la cipolla e l’apostolo Pietro? Forse la risposta è in una leggenda isernina [6], che conta varianti in altri luoghi [7].

Un giorno, la madre di san Pietro, donna avara e cattiva, mentre sciacquava in un ruscello delle cipolle appena colte, se ne fece sfuggire una di mano, che fu portata via dalla corrente. Poco più giù, una povera vecchina riuscì ad afferrare l’ortaggio e chiese alla madre di san Pietro il permesso di mangiarlo, perché aveva fame. Quella, per la prima volta nella sua vita, fu colta da benevolenza e annuì.

Quando la mamma di san Pietro morì, fu mandata all’inferno a causa della sua avarizia. Allora, ricorse al figlio. «Figliolo, mi hanno messo tra le fiamme; è un tormento. Non abbandonare la tua mammina, portami in paradiso». San Pietro le rispose che non si poteva: «Cosa direbbero le altre anime, mamma?». La donna, però, non faceva altro che chiamarlo per ripetergli di trasferirla in paradiso. Così, per far cessare quel lamento, san Pietro si decise ad invocare l’intervento di Gesù per tirarla via di lì.

«Dopo tutto – disse il santo al Signore –, una volta ha fatto la carità ad una vecchia affamata. Le ha regalato una cipolla». A Gesù venne quasi da ridere, però, per far piacere a Pietro, acconsentì che la madre potesse uscire dall’inferno. «Se è stata così caritatevole – rispose ironicamente Gesù –, falla appendere ad una resta di cipolle e portala con te in paradiso».

Appesa la madre alla resta, il santo cominciò a farla salire verso il paradiso, ma altre anime dannate si avvinghiarono alla veste della donna per salvarsi anch’esse. Ella, allora, cattiva com’era, urlò loro di staccarsi e menò calcioni, perché voleva salvarsi da sola. E tanto urlò e si dimenò che la resta si spezzò, facendola precipitare nuovamente e definitivamente all’inferno. 

Mauro Gioielli - www.maurogioielli.net


Note

[1] Antonio M. Mattei, Storia d’Isernia, vol. II, Dagli Svevi ai Borboni. Documenti inediti, Athena Mediterranea, Napoli 1978, p. 33.

[2] Fernando Cefalogli, Le fiere a Isernia, in Antonio Masi, La fiera nel tempo, Edizioni Eva, Venafro 2005, p. 101.

[3] Mauro Gioielli, L’eremo dell’eros. La festa dei santi Cosma e Damiano a Isernia, Palladino, Campobasso 2000.

[4] Luigi Vittorio Bertarelli, Guida d’Italia del Touring Club italiano, vol. 1°, Italia Meridionale, “Abruzzo-Molise-Puglia”, TCI, Tipografia Sociale del Cav. Carlo Sironi, Milano 1926, p. 343.

[5] Il documento originale dei Capitoli della Bagliva è andato perso, ma se ne conosce la quasi totalità dei contenuti grazie ad un antigrafo redatto dopo il 29 ottobre 1718. Il titolo di tale copia settecentesca è Capitoli della Bagliva della Fedelissima Regia Città di Isernia e parim.ti li Capitoli degli Affitti de Corpi della Città. Sul ruolo della Bagliva isernina, cfr. Fernando Cefalogli, Isernia. Strade, vie, vicoli, piazze. L’onomastica storica, Cosmo Iannone editore, Isernia 2000, pp. 101-102.

[6] La leggenda la pubblicai in un breve articolo che non firmai col mio nome bensì con uno pseudonimo-anagramma (cfr. Ugo Aielli Mirò, La cipolla di S. Pietro, «Extra», X, n. 22, 20 giugno 2003, p. 17).

[7] Se ne conosce una variante di Pesche (cfr. Mauro Gioielli, Etnomemorie. Le tradizioni popolari di Pesche, Palladino editore, Campobasso 2002, pp. 91-92); altra variante è beneventana (cfr. Mauro Gioielli, Fiabe, leggende e racconti popolari del Sannio, Cosmo Iannone editore, Isernia 1993, p. 206).